L’arrampicata libera nasce sicuramente in seno all’alpinismo, anche se è difficile individuare il preciso momento storico di questa nascita.
L’obiettivo che caratterizza la natura dell’alpinismo è il raggiungimento della vetta – in qualsiasi modo – in un ambiente molto avventuroso. Al contrario, l’arrampicata libera si discosta concettualmente dall’alpinismo poiché il fine ultimo non è più la vetta, ma lo stile con cui si conquista la parete.
In realtà il discorso sarebbe molto complicato poiché, nonostante l’arrampicata libera nasca dall’alpinismo, queste due distinte discipline si sono influenzate a vicenda nel corso degli anni fino, in alcuni casi, a scambiare completamente tali principi. Inoltre, da queste due grandi suddivisioni si sono formati moltissimi sottoinsiemi, ognuno con le sue regole.
Gli inizi con Paul Preuss
Tutto iniziò con Paul Preuss agli inizi del ‘900, in un’epoca in cui quasi ogni vetta era stata raggiunta sulle Alpi trasformando come obiettivo primario la linea più estetica e difficile di salita e non più il solo raggiungimento della cima. Il fortissimo alpinista austriaco, con un incredibile anticipo sui tempi ed entrando in conflitto con i suoi contemporanei, definì dei criteri secondo i quali l’arrampicatore avrebbe dovuto arrampicare solamente con i propri mezzi, senza aiuti “artificiali”. Ovviamente come tutti i precursori, le posizioni di Preuss divennero così estreme da fargli abbandonare anche l’uso della corda, considerata una facilitazione anche se utilizzata solamente come sicurezza, cosa che lo portò ad una morte precoce.
Ci vollero molti anni affinché uno stile di salita in arrampicata libera fosse codificato e accettato da quasi tutti gli arrampicatori, ma in tutto questo periodo di tempo, molti furono quelli che per allenamento o per vera convinzione, seguirono il sentiero tracciato da Preuss che avrebbe poi portato all’arrampicata libera.
L’alpinismo triestino
Due delle figure più importanti per l’alpinismo triestino ebbero un ruolo decisivo in questo processo: Emilio Comici che, nonostante i tempi, cercò sempre di salire le sue vie evitando per quanto possibile l’utilizzo di mezzi artificiali per la progressione, ed Enzo Cozzolino che fu fra i primi in Europa ad introdurre l’allenamento mutuato da altre discipline sportive, come il sollevamento pesi e la ginnastica attrezzistica, per poter poi essere in grado di salire in libera i suoi itinerari.
Un codice etico non scritto
Oggi un codice etico non scritto si è oramai assestato e possiamo dire di aver “fatto” una via quando questa viene salita in modalità redpoint. Questo termine deriva dal tedesco rotpunkt eindica che la via è stata salita da primo di cordata, dall’inizio alla fine, senza che l’arrampicatore abbia mai utilizzato le protezioni per riposare o per progredire e che la corda sia stata utilizzata come sicurezza solamente in caso di caduta. Tale termine ci viene tramandato dal tedesco Kurt Albert che negli anni ’70 usava dipingere un cerchio rosso alla base delle vie che stava provando a salire in questo stile, per poi riempirlo quando gli fossero riuscite.
Ulteriore evoluzione di questo codice non scritto prevede altre due modalità di salita:
- prevede che l’arrampicatore salga una via in stile redpoint al primo tentativo, senza però conoscere nulla di quella via, senza averla provata, senza aver visto altri salirla e senza ricevere suggerimenti;
- prevede che l’arrampicatore salga la via al primo tentativo ma con l’aiuto esterno di qualcuno che l’abbia già salita.
Queste semplici regole vengono oramai seguite da tutti gli arrampicatori e sempre più spesso anche dagli alpinisti, con varianti spesso legate ad un’etica personale che può creare polemiche ma rende anche questa attività in costante evoluzione.
Dall’arrampicata libera e da tutte le sue sfaccettature si è sviluppata l’arrampicata sportiva che, con la prima gara a Bardonecchia nel 1985, ha iniziato a codificare in regolamenti l’etica dell’arrampicata libera.
A questo punto anche l’arrampicata libera si è adeguata ai regolamenti di gara, con la magnifica differenza che in ambiente non ci sono giudici che valutano le salite ma ognuno di noi è giudice di se stesso. Questo implica da un lato una maggiore libertà nel partecipare al gioco, dall’altra l’onestà intellettuale di essere onesti con se stessi.